Uso di farmaci antinfiammatori non steroidei in gravidanza: impatto sul feto e sul neonato

I farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) sono comunemente prescritti in gravidanza per trattare febbre, dolore e infiammazione. Le indicazioni per l’uso cronico di questi agenti durante la gravidanza sono malattie infiammatorie intestinali o reumatiche croniche. Dagli anni settanta, i FANS sono stati utilizzati come agenti tocolitici efficaci: l’indometacina è stata il farmaco di riferimento, ritardando il parto per almeno 48 ore e fino a 7-10 giorni. Inoltre, l’automedicazione con FANS è praticata dalle donne incinte. I FANS somministrati a donne incinte attraversano la placenta e possono causare effetti avversi embrio-fetali e neonatali, a seconda del tipo di agente, della dose e della durata della terapia, del periodo di gestazione e del tempo trascorso tra la somministrazione materna di FANS e il parto. Questi effetti derivano dai meccanismi d’azione dei FANS (principalmente l’inibizione dell’attività prostanoide) e dai cambiamenti fisiologici nella farmacocinetica del farmaco che si verificano durante la gravidanza. Un aumento del rischio di aborto spontaneo e di malformazioni è associato all’uso di FANS all’inizio della gravidanza. Al contrario, l’esposizione ai FANS dopo le 30 settimane di gestazione è associata a un aumento del rischio di chiusura prematura del dotto arterioso fetale e di oligoidramnios. Effetti avversi fetali e neonatali che colpiscono il cervello, i reni, i polmoni, lo scheletro, il tratto gastrointestinale e il sistema cardiovascolare sono stati riportati anche dopo l’esposizione prenatale ai FANS. I FANS dovrebbero essere somministrati in gravidanza solo se i benefici materni superano i potenziali rischi fetali, alla più bassa dose efficace e per la più breve durata possibile. Questo articolo discute in dettaglio il trasferimento placentare e il metabolismo dei FANS, e l’impatto negativo dell’esposizione prenatale ai FANS sulla prole.

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